In un recente contributo, ci siamo occupati dell’istituto tributario noto come redditometro, utile al Fisco per accertare presunta evasione fiscale, imputando a reddito capitale investimenti sulla base di mere presunzioni.
In tale complesso quadro, si viene a collocare una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha il pregio di avere precisato come le presunzioni poste alla base del redditometro, sono mere presunzioni semplici che, in quanto tali, possono essere vinte e superate a fronte di prove contrarie fornite dal contribuente.
Peraltro, nemmeno si era pervenuti a pubblicare tale contributo, che ecco un altro interessante ed esclusivo provvedimento degno di nota, proveniente, questa volta, non già da una Commissione Tributaria o dalla Corte di Cassazione, bensì da un Tribunale, quello di Napoli sez. dist. di Pozzuoli (link al testo integrale).
In particolare, un coraggioso contribuente ricorreva al Tribunale per chiedere un’inibitoria al Fisco di indagare sui propri conti e aspetti della vita privata quotidiana, così, per anticipare il rischio di dover subire accertamenti tributari e per far sì che, se li avesse subiti, le attività ispettive sarebbero state dichiarate nulle e/o inefficaci quali prove o indizi.
Una mossa azzardata, ma geniale sotto un certo profilo. Una tesi, che è stata pienamente accolta dal tribunale campano.
In particolare, nel provvedimento si afferma che lo strumento del redditometro determina “la soppressione definitiva del diritto del contribuente e della sua famiglia ad avere una vita privata, a poter gestire autonomamente il proprio denaro, a essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo, senza dover dare spiegazioni e subire intrusioni su aspetti anche delicatissimi della propria vita privata, quali la spesa farmaceutica, l’educazione e mantenimento della prole, la propria vita sessuale“.
Dunque, un’ordinanza civile (e non tributaria), interviene a smontare un primo importante mattone posto a fondamento del castello denominato “redditometro”, sotto un profilo tutt’altro che trascurabile, correlato alla lesione del diritto alla privacy o riservatezza inteso quale diritto della persona di rilievo addirittura costituzionale e come tale tutelato dalla carta costituzionale e da quella Europea sui diritti fondamentali.
In effetti, in tempi come questi, ove tutte le informazioni circolano sul web, certi fatti salienti vengono ripresi da telecamere o satelliti in orbita, è in vigore una normativa europea ed italiana molto stringente in materia di privacy e tutela dei dati personali, per cui ci si poteva aspettare che uno strumento quale il redditometro, fosse troppo “invasivo” in quanto attingeva a dati ed informazioni strettamente personali e riservate per ricostruire non certo fatti costituenti reato, ma mere presunzioni a fini esclusivamente “tributari”.
Quindi, il Tribunale di Napoli sez. dist. di Pozzuoli ha ordinato nella fattispecie, all’Agenzia delle Entrate, “di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza o utilizzo dei dati“, di “cessarla se iniziata“, e di “distruggere tutti i relativi archivi” se già formati.
In sostanza, affermano i giudici campani, il meccanismo di “incrocio” dati posto a base del redditometro, posto su una bilancia di diritti costituzionali da tutelare, soccombe rispetto ai fondamentali diritti della persona cosicché la Pubblica Amministrazione in tali circostanze, vede compresso il suo potere di sacrificare la sfera giuridica del privato in quanto il bene superiore da tutelare, non è di eccezionale gravità o correlato ad esigenze particolari.
Quindi, per venire al punto, il Decreto Ministeriale che ha approvato il nuovo redditometro sarebbe (per il Tribunale di Pozzuoli) illegittimo e nullo in quanto nemmeno si sofferma ad indagare specifiche categorie di contribuenti da “verificare” e nemmeno differenzia i “cluster” (categorie omogenee) da accertare, ma pone delle suddivisioni tra famiglie (magari diversissime tra loro) con criterio geografico.
Si utilizzano poi i dati Istat (meri dati statistici che a campione, non potrebbero valere per l’attività ispettiva tributaria essendo destinati ad altri fini).
Non ultimo, ed era pacifico tale dato, viola il principio del diritto di difesa, ponendo in capo al contribuente una prova diabolica.
Poiché però, il precedente del Tribunale di Pozzuoli come ogni precedente giurisprudenziale non farà stato e non sarà vincolante, ci si attendono certamente altri ricorsi da parte di contribuenti che, azzardando, vorranno anticipare le mosse di un Fisco troppo curioso e indagatore.
Articolo postato da Filippo Martini
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