“Un’ulteriore linea di azione, che mi sembra importante percorrere nell’ottica di una deflazione dei carichi giudiziari, attiene alla revisione della normativa sulla mediazione obbligatoria, tenendo conto dell’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, ed in esito ad un’ ampia e condivisa valutazione con tutti i principali operatori del settore”.
Queste sono le parole usate dal neo ministro della giustizia Annamaria Cancellieri il 20 maggio scorso, nell’audizione in Commissione Giustizia Senato.
Questa chiara dichiarazione d’intenti, si colloca in un preciso passaggio della relazione in cui il ministro ha appena calato il sipario sul catastrofico stato di stallo in cui versa l’apparato giustizia in Italia: “a giugno 2012, nei Tribunali, erano pendenti 3.357.528 procedimenti civili e 1.279.492 penali. In Corte d’Appello, erano pendenti 439.506 procedimenti civili e 239.125 penali. In Cassazione, 99.487 procedimenti civili e 28.591 penali. Nel complesso, quindi, quasi quattro milioni di processi civili“.
Poco prima, la Cancellieri, riferendosi ai provvedimenti di “riordino della geografia giudiziaria” (tanto per intenderci e rimanere in ambito locale il taglio delle sezioni distaccate di oltre 200 tribunali tra cui Imola, Lugo, Faenza, Cesena, Porretta ecc. ecc. solo nell’area Bolognese e romagnola), affermava che “Le riforme non possono avere un punto di nuovo inizio ad ogni cambio di legislatura. Lo stop and go non è produttivo e non assicura certezze del diritto. Ci vuole il coraggio della continuità. Solo alla luce di una valutazione successiva all’attuazione della riforma si potranno ipotizzare circoscritti e motivati interventi correttivi in un contesto di ampia condivisione parlamentare”.
Si auspica, quindi, che il Ministro adotti il medesimo parametro (“coraggio della continuità”) che aveva portato ad introdurre un’istituto diffuso in tutto il mondo, quale la mediazione civile tramite l’obbligatorietà per materia, troncata a due anni di nascita da un vizio di forma normativa con buona pace dei 1.000 enti di mediazione operanti in Italia, migliaia di posti di lavoro creati e degli oltre 40.000 mediatori già accreditati presso il Ministero.
I presupposti sono in effetti positivi, se pensiamo che in esordio alla relazione medesima, il ministro cita il saggista Amos Oz (“noi siamo delle penisole, non siamo delle isole“) per poi richiamare tutti gli addetti ai lavori ed affermare il sacrosanto principio per cui occorre “mettere da parte pregiudizi ideologici e visioni monocolari per assumerci tutti insieme la responsabilità di rimettere il cittadino al centro del pianeta giustizia”.
E non era forse un pregiudizio ideologico, quella levata di scudi contro la mediazione civile dai più misconosciuta e snobbata, temuta unicamente quale “pericolo” rispetto ad un assetto di giustizia lenta, quasi epica, ma che, in fondo in fondo, “va poi bene così com’è”.
Mi pare che l’affermazione di responsabilità per cui occorra “rimettere il cittadino al centro del pianeta giustizia“, rappresenti un concetto di vera “Politica” (con la P maiuscola) posta al servizio delle persone che consideri tutti i fattori in gioco e non, solo, certi sistemi di potere più rilevanti che altri.
Ecco il link al testo completo della dichiarazione.
Postato da Avv. Filippo Martini