Con la sentenza numero 41044 del 13 ottobre 2015, i giudici della Suprema Corte di Cassazione, hanno sostanzialmente confermato la condanna dell’autore di un’asserita “opera d’arte” esposta in centro a Milano, per il reato di cui all’articolo 403 del codice penale rubricato come “offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone”.
L’autore condannato aveva esposto un trittico raffigurante il Papa Benedetto XVI, un pene con testicoli ed il segretario di sua Santità mons. Georg Gaenswein, con la didascalia “Chi di voi non è culo scagli la prima pietra“.
La gravità dell’offesa appare eclatante, ma nei c.d. “tempi moderni”, una siffatta coraggiosa sentenza non era affatto scontata, specie per alcuni chiarissimi passaggi: “…l’opera esposta-in uno con la citata didascalia, che ne costituisce essenziale corredo, e valutatane l’immediata percepibilità da parte di tutti i passanti – intendeva chiaramente riferirsi a “rapporti sessuali di natura omosessuale” e, pertanto, “non costituiva un’espressione interpretabile in termini artistici, come vorrebbe l’appellante, ma anzi per le obiettive caratteristiche delle riproduzioni, indecorosa ed offensiva dell’uomo medio”.
In esso si cita un tratto dell’argomentazione del Giudice di primo grado e vi si ricavano alcune importanti conseguenze: 1) l’omopornografia è indecorosa almeno quanto la normale pornografia (e forse di più, sembrerebbe suggerirsi) … il che stride con le valutazioni di altri organi ed autorità giurisdizionali (cit. il caso del libro della signora Mazzucco intitolato “Sei come sei” letto a degli studenti presso il liceo “Giulio Cesare” di Roma, vicenda per cui il p.m. chiese l’archiviazione); 2) il sentimento religioso non può essere vilipeso da ogni asserita opera d’arte; 3) esiste ancora, il concetto di sensibilità dell’ “uomo medio”.
articolo di Filippo Martini