Il legislatore, come già menzionato in un recente articolo delle nostre news, ha introdotto l’accattivante prospettiva di definire le liti fiscali pendenti al 1 maggio 2011 con le agenzie delle entrate pagando importi assai esigui ove la pretesa impositiva sia inferiore ai 20.000 euro totali. Peccato, che abbia saltato un importante passaggio che invero rende la fattispecie assai meno appetibile.
Ci si riferisce evidentemente a tutti quei casi in cui, parallelamente e pressoché automaticamente all’accertamento di maggior reddito a fini “fiscali”, scatta anche l’accertamento a fini “previdenziali” (per imprenditori, professionisti, società di persone o di capitali con soci lavoratori). Praticamente quasi tutti i casi !
Accade così, in siffatte ipotesi, che il contribuente oltre a ricevere l’avviso di accertamento e a dovere attivare il contenzioso in commissione tributaria contro la direzione competente, si vedeva recapitare una separata cartella Inps da impugnare, questa volta, avanti al competente giudice del lavoro. Detta cartella, come già specificato era (è) un automatismo rispetto al primario accertamento fiscale. Tanto che decaduto il primo decadeva la seconda, ovvero accertata in sede tributaria la infondatezza del primo, quasi in automatico, il giudice del lavoro, accertava e dichiarava l’infondatezza della seconda. Anzi, si verificherebbe proprio l’ipotesi tipica disciplinata dall’articolo 295 c.p.c. secondo cui il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso “o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa“. Dalla definizione della vertenza in sede fiscale, in effetti, deriva la definizione di quella previdenziale.
Orbene, di fronte a un quadro siffatto, sarebbe stato logico che il legislatore dell’ultimo “condono fiscale” disciplinasse anche per esteso analoghe sorti di favore per la definizione della lite dal punto di vista “previdenziale”. Evidentemente, così non è stato e, a pochi giorni dalla scadenza del termine per pagare e di fatto aderire al condono (30 novembre 2011) né il legislatore né tanto meno l’Inps paiono avere rimediato a siffatta situazione di incoerenza che, come ben si comprende, rende molto poco appetibile il condono per migliaia di professionisti, imprenditori e società.
Chi, infatti, nella generalità dei casi e salvo quelli più specifici è disposto a definire un contenzioso per metà, ossia liquidando la “parte fiscale” ma lasciando inalterata quella “previdenziale” ?
Nello specifico va detto che nel caso vi sia una sentenza sfavorevole al contribuente e la si definisse pagando il 50%, quasi automaticamente il medesimo rischierebbe di subire l’accertamento Inps, con l’aggravante peraltro di avere subito una sentenza negativa (“condonata” certamente, ma pur sempre resa da parte di una Commissione Tributaria e … passata in giudicato ?)
Potremmo invero discutere nell’ipotesi opposta di sentenza favorevole al contribuente e di definizione col pagamento del 10 % dell’imposta. Potremmo in questo caso affermare che si formerebbe un “giudicato” favorevole anche ai successivi fini previdenziali e che la “transazione fiscale” non avrebbe effetto novativo (in difetto di specifica definizione normativa) ? Il punto non è chiaro e francamente, dal punto di vista pratico, non reputo che consulenti, avvocati e commercialisti, vorrebbero mai far scontare al cliente “disquisizioni” teoriche di natura processuale se di fatto, non si concretassero in certezze tali da non pesare in alcun modo sulle loro tasche.
In un periodo in cui si discute di raggranellare soldi con Ici su prima casa, patrimoniale e manovre di alta finanza straordinaria, occorre ancora rammentare ai nostri politici (legislatori) maggiore attenzione ai “dettagli” e alle questioni “semplici”. Che di certo porterebbero (rectius avrebbero portato) molti più soldi nelle casse statali da luglio ad oggi.