Dal 21 marzo 2012 anche le vertenze in materia “condominiale” dovranno essere precedute dall’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione. Sono molteplici gli aspetti problematici che si pongono all’interprete del diritto, al giurista e all’avvocato, ma anche al mediatore e all’ente di mediazione di fronte a tale importante novità. Cercheremo di affrontarli, in un’ottica di massima semplificazione e approccio pratico sulla base di quanto emerge da una prima analisi e in attesa, ovviamente, di quelle che saranno le prime pronunce giurisprudenziali al riguardo.

1)      Primo aspetto da approfondire è certamente l’ambito di applicazione della norma. L’articolo 5 del decreto 28/2010 afferma che la mediazione si applica a qualsiasi “… controversia in materia di condominio…”. Volendo interpretarla secondo quella che è la ratio deflattiva del contenzioso civile sottesa alla novella, andrebbe detto che rientrano nella fattispecie tutte le controversie riconducibili all’applicazione della normativa condominiale prevista dal codice civile e quindi, tutti i possibili contrasti derivanti dall’applicazione delle norme di cui agli articoli dal 1117 al 1139 del codice civile. Possiamo ad esempio così esemplificare: questioni afferenti la comprensione di beni nel novero della comunione condominiale (art. 1117 c.c.); problematiche afferenti la realizzazione di innovazioni (artt. 1120 – 1121) delle opere effettuate dal singolo condomino (art. 1122), delle opere di sopraelevazione dell’ultimo piano dell’edificio condominiale (art. 1127). Ancora, tutto quanto concerne il rapporto e i poteri / doveri condominio – amministratore (artt. 1129, 1130, 1131, 1133 e ult. co. 1135). Naturalmente, sempre seguendo l’ordine della normativa, il caso principe è rappresentato dalla impugnazione delle deliberazioni assembleari previsto dall’art. 1137 c.c. Ma anche l’approvazione / interpretazione del regolamento (art. 1138). Da ultimo, affatto meno importante, la materia del riparto delle spese gestorie (artt. 1123 – 1126 c.c.). Se poi si considera che, l’articolo 5 del decreto 28, sancisce l’obbligatorietà anche in materia di diritti reali ed assicurativi, ne consegue che a fortiori rientreranno nella mediazione anche le fattispecie afferenti la regolamentazione di diritti reali su parti comuni (si pensi a diritti quali le servitù, l’usucapione del diritto di proprietà su parti comuni etc.) ovvero le casistiche in cui debba chiamarsi ad operare l’assicurazione del fabbricato in condominio (per danni a terzi, a condomini etc.). Parrebbero invero da escludersi le casistiche ove  la causa petendi sia individuata non tanto nel rapporto condominiale (sebbene inteso lato sensu), quanto in un rapporto contrattuale con terzi soggetti (si pensi ai contenziosi tra condominio e appaltatori d’opere, con riferimento alle azioni di garanzia tipiche di cui agli artt. 1667 e ss. c.c.). In tal caso infatti, ciò che rileva non è un “rapporto condominiale” dal punto di vista oggettivo, quanto la mera circostanza che una delle parti del contratto sia un ente condominiale.

2)      Altro rilevante problema, sarà quello della legittimazione in sede di mediazione. Chi, cioè, dovrà prendere parte alla procedura ed infine, decidere se ed in quali termini raggiungere un probabile accordo (stanti le percentuali sempre crescenti di esito positivo di procedure partecipate da entrambe le parti). Si può osservare che sul punto dovranno mutuarsi le medesime regole già valevoli in ambito processuale che vedono l’amministratore partecipe in tutti quei casi in cui la vertenza abbia ad oggetto parti comuni ed in primis, il ruolo dell’amministratore quale “gestore” di dette parti. Dunque, l’amministratore, potrà legittimamente proporre un’istanza di mediazione, od essere chiamato a parteciparvi da terzi, solo nei casi in cui l’oggetto specificato nella domanda (c.d. istanza) di mediazione rientra nei limiti delle sue attribuzioni (art. 1130 c.c.). Ove invece la materia esorbiti da ciò, l’amministratore dovrà dapprima ottenere una delibera autorizzativa da parte dell’organo “sovrano” (assemblea condominiale). In tale ultimo contesto, peraltro, così come nel caso (probabile) in cui una vertenza attivata sotto le sembianze di attività tipica dell’amministratore ex art. 1130 c.c., dia luogo a prospettive risolutive che fuoriescono da tali limiti (caso assai frequente, visto il fine tipico della mediazione, volto ad indagare i reali interessi sottesi delle parti rispetto alle mere “posizioni” di conflitto), si porrà il problema di come, l’amministratore, potrà decidere e così accordarsi, o non accordarsi, disponendo in tal modo del diritto o dei diritti emergenti. Al di là del caso in cui l’amministratore si faccia genericamente autorizzare dall’assemblea anche a “conciliare” e “transigere” a qualsivoglia condizione che non vada ovviamente a pregiudicare diritti individuali dei singoli condomini, potrebbe essere (e di certo si consoliderà quale) prassi virtuosa ed opportuna, quella di riservare un primo incontro alle trattative, avvicinandosi il più possibile ad un risultato conciliativo, e disponendo un rinvio per consentire all’amministratore di acquisire il pieno consenso e dunque autorizzazione da parte dell’assemblea. In tal modo, si avrà una piena ratifica del suo operato con certezza che un domani, un qualche condomino scontento o riottoso non potrà riaprire la discussione, magari dolendosi verso il proprio amministratore (quando invero ratio primaria della mediazione, non è solo quella di dirimere un conflitto ma anche di scongiurarne l’insorgenza per il futuro). Il fatto che si renda quanto mai necessaria la delibera di approvazione assembleare, è reso ancor più manifesto dalla disamina della giurisprudenza consolidatasi in tema di “transazioni” che vedano quale parte un condominio. Invero, è stata ritenuta necessaria la delibera con il consenso espresso di tutti i condomini per la transazione che vada ad incidere su diritti che i condomini hanno sulle parti comuni (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4258). Non basterà quindi neppure una delibera maggioritaria, nei casi si verta sulla disposizione di parti comuni. Laddove invece si verta su mere disposizioni di carattere economico, sarà sufficiente la delibera a maggioranza.

3)      Vi è da esaminare un ulteriore aspetto non di poco conto. Come noto, la conciliazione implica o una “rinunzia agli atti del giudizio” in termini processuali, ovvero una “rinuncia all’azione” in più ampi termini sostanziali. In ambo le ipotesi, non v’è chi non veda come tale rinunzia incida sui diritti esclusivi di cui ogni condomino è titolare. Sappiamo, infatti, che il condominio non è persona giuridica, ma un ente di gestione che si sostanzia in una pluralità di condomini la cui autonomia fa sì, che essi possano intervenire in un giudizio se non anche agire autonomamente surrogandosi all’organo amministrativo per salvaguardare il condominio e financo esperire impugnazioni per evitare effetti sfavorevoli di una pronuncia resa verso il condominio (Cass. 16 maggio 2011 n. 10717). Invero, nel caso che ci occupa nello specifico (la conciliazione della lite), l’accordo conciliativo mirando a rendere non più proponibile alcuna richiesta di tutela in sede legale / giudiziale, comporta una seria limitazione delle prerogative che sono previste per il singolo condomino. Sulla scorta di ciò, certa dottrina ha già ravvisato l’opportunità che, a prescindere dalla rinuncia agli atti o all’azione presente nell’accordo, lo stesso venga approvato all’unanimità dei partecipanti al condominio.

4)        Ultimo aspetto che si vuole esaminare in tale breve articolo, privo certo di alcuna valenza esaustiva vista l’ampiezza e complessità delle problematiche pratiche che si porranno, attiene alla “sospensione dei termini di decadenza” per opporre la delibera assembleare. Come infatti è noto, la delibera assembleare è impugnabile entro il termine di giorni trenta dall’approvazione da parte del condomino presente alla votazione ovvero dalla comunicazione del verbale per il condomino assente. Trattasi chiaramente di un termine perentorio decadenziale inderogabile. Tuttavia, l’articolo 5 comma 6 del decreto 28/2010 stabilisce che la comunicazione dell’avvio del procedimento effettuato dall’ente alla controparte, impedisce la decadenza, per una sola volta. Il termine di decadenza riprende a decorrere ex novo dalla data del deposito del verbale presso la segreteria dell’organismo (ove la mediazione non abbia raggiunto il fine di conciliare la lite, chiaramente). A fronte di ciò può ritenersi che la comunicazione dell’avvio del procedimento fatto al condominio in persona dell’amministratore pro tempore da parte dell’ente di mediazione, sia idonea per l’interruzione dei termini di decadenza. Ciò ad una fondamentale condizione: che il soggetto istante specifichi chiaramente ed esattamente nella propria istanza, gli estremi del soggetto a cui, di fatto, chiede venga formalizzata la comunicazione di avvio del procedimento. Sebbene alcuna norma precisi tale aspetto, invero, pare onere essenziale e regola generale, secondo i principi di buona fede e piena correttezza che il soggetto “mandante” (parte istante) conferisca al soggetto “mandatario” (ente di mediazione) tutti gli elementi utili e necessari per potere espletare al meglio le incombenze correlate al mandato ricevuto ai sensi dell’art. 1719 c.c. (avviare la procedura di mediazione in modo corretto e tempestivo). Sulla base dei medesimi principi, non potrà ritenersi conforme a buona fede e correttezza la condotta di chi depositi un’istanza di mediazione, uno – due giorni prima della scadenza del termine di trenta giorni per proporre l’opposizione alla delibera posto che va considerato: il tempo tecnico di acquisizione a protocollo della domanda nuova e istruzione pratica; l’attività di case management per l’individuazione della data, del mediatore, della sede in cui svolgere la mediazione; l’attività di predisposizione ed invio della raccomandata. Il tutto considerando che la legge, pone agli enti il termine di quindici giorni per effettuare le convocazioni. Sicché la parte istante, dovrà certo tenere in debito conto tutto ciò e curare al massimo (rectius, porre l’ente nelle condizioni di poter curare al massimo) la tempestività dell’avvio delle procedure e delle comunicazioni interruttive dei termini di decadenza.